"Le nostre impronte non sbiadiscono dalle vite che tocchiamo".
Questa celebre frase tratta da un film calza a pennello con l'episodio di questa settimana della rubrica "Mi presteresti la voce?". La protagonista dell'intervista è, infatti, una donna meravigliosa che ho incontrato ormai quattro anni fa, in tempi ben più spensierati di questi.
Galeotto fu un workshop di food photography, tra le colline della Val d'Elsa.
Quel giorno ho conosciuto Francesca Matteuzzi, autrice di Pane e Zucchero, e da quel giorno non ho potuto fare a meno di portare con me il suo ricordo.
Perchè ha lo stesso sorriso gentile di mia madre, perchè trasmette con tutta sé stessa l'amore per la sua famiglia, la passione per la cucina e la sua determinazione.
Le nostre impronte non si sono più incrociate da allora, ma le distanze non sono niente grazie ad una tastiera e alla voglia di raccontare, di raccontarsi; così Francesca ha accettato di prestarmi la sua voce, ed io sono qui a farle da eco.
1.Ciao Francesca, che piacere poterti finalmente conoscere meglio.
Ci siamo incontrate a Maggio del 2016, ad un workshop di food photography: ho un bellissimo ricordo di quel giorno. All'epoca scrivevi già il tuo blog "Pane e zucchero".
Ti va di raccontarmi della sua nascita?
Ciao Alice!
E’ vero, quello fu un giorno bellissimo del quale, ahimè, non ricordo la data, ma ricordo invece il tuo volto dolcissimo (grazie di cuore). Insieme ci siamo scambiate informazioni e consigli e più o meno da allora ci siamo sempre frequentate sul web con rispetto reciproco.
Questo corso è stato uno dei tantissimi workshop amatoriali che ho fatto ed il primo in assoluto di food photography che mi ha dato un’idea di quanto sia difficile anche solo il fotografare il cibo.
E’ vero, il mio sito internet già esisteva ma era veramente nato da pochissimo, nell’ottobre del 2015. Mi chiedi com’è nato il mio blog? E’ nato come coronamento di una grande passione; adoro cucinare da sempre perché provengo da una famiglia matriarcale toscana in cui si è sempre cucinato per il piacere di stare insieme e per la convivialità. Ho pensato all’inizio di condividere quello che facevo su Facebook ma sentivo che non mi bastava: era un modo di comunicare freddo, che non mi rispecchiava; volevo qualcosa in più per trasmettere agli altri quello che sapevo fare, una sorta di foto-diario che potesse racchiudere incontri,viaggi, racconti di vita ma soprattutto ricette tradizionali della mia famiglia ma non solo.
E’ così mio marito mi ha spinta ad inaugurare il sito, una volta per tutte, fatto a misura per me, un pò come un vestito di un sarto che ti è stato cucito addosso e che adesso non riesco più a fare a meno di indossare.
2.Dopo il nostro incontro hai frequentato l'Accademia Italiana Chef e hai (brillantemente) ottenuto il diploma. Quanto pesa la tecnica e quanto l'emozione, secondo te, quando si cucina un piatto?
E’ vero, ho pensato che per scrivere di cibo e cucinare non era per me sufficiente starmene chiusa nella mia cucina, benché super attrezzata ed a prova di cuoco. Volevo lavorare in un ristorante per vedere ciò che realmente accade in una brigata: imparare a gestire lo stress del servizio, il lavoro di squadra, ridurre gli sprechi, imparare un metodo di lavoro e riconoscere l’eccellenza delle materie prime. Saper cucinare piatti elaborati e semplici allo stesso tempo. Tutto questo però esula dal mio lavoro di impiegata amministrativa, e allora come fare? In Italia non è così semplice: non si può sostenere uno stage in cucina senza frequentare una scuola.
Così ho scoperto l’Accademia Italiana chef: ho frequentato per quattro mesi le lezioni e a quel punto ero ormai pronta per lo stage presso un ristorante stellato nel cuore del Chianti, “L’Osteria di Passignano” .Avevo frequentato altri corsi dello Chef Matia Barciulli, perciò ha accolto con piacere la mia candidatura. Con lui, anche lo Chef Nicola Damiani e lo Chef Matteo Gambi. Quell'inverno ho svolto le mie 300 ore di stage, mentre continuavo col mio lavoro di sempre, fino ad ottenere il diploma. E' stata un’esperienza durissima ma gratificante: era il sogno della mia vita che ho finalmente realizzato.
Ho realizzato quanto diverso sia dallo stare ai fornelli di casa o scrivere sul blog: i cuochi e gli chef che spadellano in TV non sono quelli che lavorano, spesso in condizioni estreme, nelle cucine di ristoranti e trattorie. La brigata è una vera scuola di vita: deve essere affiatata per superare gli ostacoli di ogni giorno. L’organizzazione meticolosa e la pulizia sono alla base della buona riuscita di un servizio.
3.Hai collezionato momenti difficili, ma nonostante tutto esprimi grande forza d'animo, positività e gioia di vivere. La tua passione per la cucina ti ha aiutata a maturare questa tempra?
Si Alice, la cucina è la mia medicina, riesco ad isolarmi ed a superare problemi più piccoli ma anche quelli apparentemente insormontabili. Mi ha aiutato a passare un periodo in cui la mia salute ha vacillato fortemente ed è per questo che riesco sempre a guardare al futuro in maniera positiva, nonostante tutto e tutti.
4.Dimmi i tre ingredienti fondamentali nella tua cucina (e ti dirò chi sei...)
In cucina non vorrei mancassero mai: farina, le uova e l’olio. E adesso dimmi tu chi sono!
Partendo da ingredienti apparentemente semplici puoi creare un mondo intero. Sai guardare oltre, e credo non solo in cucina: sai leggere le persone, sai concedere seconde possibilità e non manchi mai di rispondere con un sorriso, qualsiasi cosa accada.
5.Ho sempre letto nei tuoi piatti il racconto della Toscana in cui vivi. Quale ricetta pensi che racchiuda maggiormente i colori, i profumi, le contrade e i cipressi della tua meravigliosa terra?
La scelta di una tra le tante ricette della mia Toscana non è poi cosi semplice.
Scelgo però un piatto di terra ed uno di mare.
Il piatto di terra:
Il panino con il lampredotto perché è la massima aspirazione per un fiorentino, lo street food per eccellenza. Camminare gustando il succulento panino con il naso all’insù, guardando il Ponte Vecchio, il Campanile di Giotto o la Cupola del Brunelleschi…
Il piatto di mare:
Il cacciucco alla livornese perché come lo faceva mia mamma non l’ho mangiato altrove, è un piatto che mi ricorda la mia casa estiva nella costa degli etruschi, i colori dei tramonti e la semplicità di quella terra.
6.Stiamo giungendo al termine di un anno davvero "complicato". Ti va di raccontarmi come hai affrontato questi mesi difficili, la quarantena, la nuova normalità?
Cosa ti auguri per la fine di questo 2020?
Sono una persona molto tranquilla che fin da bambina ha sempre adorato stare tra le mura domestiche. Non ho mai sentito in questo periodo la pressione e l’imposizione del “dovere” restare in casa. Abito in una zona fiabesca: apro il cancello del mio giardino e sono immersa nel bosco, nelle mie passeggiate, il che sicuramente aiuta molto.
Per il resto la cucina è sempre il mio rifugio. Alterno il mio lavoro in smart working agli impasti, al mio “diario” virtuale e agli scatti con la macchina fotografica.
Stiamo vivendo la nostra guerra: i nostri nonni hanno dovuto superare ben altro e dobbiamo esser loro sempre riconoscenti, sarebbe un sacrilegio non ricordarci di quanto hanno sofferto!
Sarà solo questione di tempo e ne usciremo. Per la fine di quest’anno so solo che dobbiamo ancora stringere i denti, ma ce la faremo. Questo periodo dovrebbe rimanere ben impresso nella nostra mente per poter iniziare una nuova vita ….ecco quello che mi auguro per tutti, una rinascita.
Photo Credit: Pane Zucchero
Il riferimento a scuole di cucina o istituti non ha alcuna finalità pubblicitaria.
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