Ricordo ancora la prima volta che mi sono soffermata su una fotografia di Alessia Mirabella, in arte Miele Selvaggio. La potenza di quell'immagine mi aveva stupefatta: sembrava che "parlasse". La protagonista era una crostata ed io, in quel preciso momento, ne ho sentito il profumo di burro e mele, ho percepito il calore avvolgermi e leggeri crampi allo stomaco.
Alessia non era l'ennesima voce: lei era la voce.
Un tono flebile, caldo, riconoscibile dappertutto, come un profumo a cui siamo affezionati.
Non avevo idea di chi fosse prima di allora, non l'ho mai incontrata; eppure da quel momento le sue immagini, le sue ricette e, soprattutto, le sue parole, hanno dato un nuovo senso a quello che stavo facendo. Da quel momento ho capito che essere una "food blogger" non significa solo fotografare la propria cena, non significa offrire una fetta di torta: significa offrire una parte piccolissima di sè stessi: il cibo non è il protagonista, ma il tramite.
Non potevo che renderla partecipe di questo terzo episodio della rubrica "Mi presteresti la voce?", per dare il benvenuto al mese di Novembre.
1.Buongiorno Alessia. Ti va di raccontarmi della tua passione per la scrittura e del legame che essa ha con il cibo?
Scrivere fa parte di me in maniera prepotente e strana: alterno fasi in cui scrivo e scrivo (ho fogli pieni di racconti inediti) a fasi in cui preferisco riempirmi gli occhi e i pensieri con i miei autori preferiti. Il cibo allo stesso modo fa parte di me in maniera assoluta.
La cucina mi ha sempre incuriosita: ero ancora piccola quando, buffa, ho cominciato ad imitare i gesti di mia madre e di mia nonna. Ora succede il contrario: è la mia nonnina che tenta di imitare ad esempio tutte le tecniche di pieghe degli impasti, e in quelle pieghe ci finiamo sempre declinate al passato e al presente.
2.Condividi ricette multiformi: biscotti, lievitati, zuppe, conserve.
Esiste un fil rouge che le lega tra loro?
Il filo conduttore che lega le ricette che pubblico è fatto di ricordi, abitudini, desideri, storie e racconti che saltano in grembo alle donne della mia famiglia e che vengono condivisi nel modo che ci riesce meglio: portandoli a tavola.
3.Se ben ricordo hai replicato fedelmente molte ricette contenute in «Patisserie!» il manuale dell'arte dolciaria scritto da Christophe Felder.
Quali altri libri (culinari e non) hanno influenzato il tuo modo di scrivere e di cucinare?
Alla tua domanda rispondo cominciando a raccontarti che leggo tantissimo.
Leggo da sempre, leggo nelle pause, leggo sulla metro, leggo tra le mie piante, prima di dormire, nei fine settimana lenti anche prima di alzarmi dal letto. Ho cominciato quando avevo circa 12 anni e da allora non ho più smesso. Mi perdo e mi trovo, prendo appunti, sottolineo passaggi, spesso apro le mie ricette con una citazione che mi ha particolarmente colpita. Tutti i libri di cucina sono a portata di mano, li leggo, poi li sfoglio di nuovo, e man mano che mi capitano tra le mani scopro ricette, dettagli e ingredienti che la volta precedente mi erano sfuggiti: la scoperta di nuove ricette, soprattutto quelle della pasticceria (meglio se francese!) sono realmente influenzate dagli stati stati d'animo del momento e dalla casualità con la quale prendo i tomi dalla libreria.
4.Dimmi i tre ingredienti che più ti rappresentano (e ti dirò chi sei...)
Gli ingredienti che mi rappresentano di più sono essenzialmente basici, quelli di partenza: aglio, farine rustiche rigorosamente biologiche e l'olio extravergine di oliva di nostra produzione di cui vado particolarmente fiera. (Adesso tocca a te, dimmi chi sono!)
Ti immagino una perfezionista (nella migliore delle accezioni), una stacanovista degli impasti: provi e riprovi una ricetta fino ad ottenere la migliore delle sue versioni. Credo che ti piaccia sorprenderti delle cose di ogni giorno, degli elementi che pur restando familiari ti si palesano sempre nuovi: come può essere l'alveolatura di un filone di pane, la friabilità di un biscotto con gocce di cioccolato, o una tazza di tè mentre osservi la pioggia battere sul vetro della finestra.
5.Nel 2017 hai scritto «Una storia», la cui protagonista è Irene. 7 capitoli, 7 ricette.
Quanto di Alessia abita in Irene e viceversa?
Quando ho raccontato di Irene ho mescolato quella che sono con la ragazza di cui da piccola sognavo di diventare. Una bella casa vista mare, un lavoro da fotografa e giornalista gastronomica, appassionata viaggiatrice... e poi il bistrot, la scelta del menù. Mi sono permessa il lusso di sognare in grande senza tralasciare alcun dettaglio, raccontando molto di me soprattutto in alcuni passaggi.
6.Le parole che hai usato per descriverti sul blog sono come l'incipit di un libro che si ha subito voglia di leggere, di vivere. Il mio passaggio preferito è la fine:
«Perché cucinare è da sempre la mia unica soluzione, tra il piacere di fare e quello di condividere.» Durante la quarantena hai trovato conforto in questa «soluzione», tra i fornelli, tra i ricettari vecchi e nuovi? Cosa ti auguri per questi ultimi mesi del 2020?
Durante la quarantena, tra ansie e ritmi lenti, ho scoperto che i fondamentali della mia vita sono piuttosto pochi e ovviamente sacri. La cucina rientra tra questi: non si tratta solo di cucinare e mangiare bene, ma anche di ritrovarsi, trascorrere del tempo insieme, gioire anche con poco. Ho seguito le ricette dei miei nonni, quelli a base di acqua e farina, ho preparato tutta una serie di conserve e sottoli che quando vengono aperti mi riportano indietro nel tempo: mi ritrovo in un battibaleno piccola, con il grembiulino da cucina che mi aveva cucito nonna, un fazzoletto in testa, mentre affetto zucchine sotto il pergolato.
Spero vivamente che questa brutta nube si allontani in fretta, confido nella medicina e nelle scienze. Mi auguro possiamo tornare tutti presto alle nostre solite abitudini, con una sola differenza: la consapevolezza di ciò che veramente conta.
Photo Credit: Miele Selvaggio
Eventuali riferimenti a libri di cucina o prodotti non sono di natura promozionale.
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